‘Even at that hour of the night, the jailer cared for them and washed their wounds.
Then he and everyone in his household were immediately baptized.’
Il sodalizio artistico tra il genio di Stephen King e quello di J.J. Abrams si era rivelato vincente già nel 2016, quando sulla piattaforma Hulu comparve 22.11.63, acclamata miniserie che aveva dato vita a uno degli scritti del grande maestro dell’horror.
Memori di questo successo e consapevoli che gli utenti del web sarebbero rimasti orfani per tutta l’estate dopo la conclusione del distopico The Handmaid’s Tale, Stephen King e J.J. Abrams decidono di provarci di nuovo e il primo assaggio di questa rinnovata collaborazione non può che riconfermare le entusiastiche aspettative di tutti coloro che attendevano il rilascio di Castle Rock con ansia spasmodica.
La sottoscritta è, ovviamente, tra questi.
A differenza di 22.11.63, Castle Rock non si basa ufficialmente su nessun lavoro dello scrittore, ma preferisce riunire alcuni personaggi e intrecciare le loro vicende sullo sfondo di una cittadina che prende il nome di un luogo iconico nell’universo immaginario di King.
Impossibile per me, a tal proposito, non menzionare il film capolavoro ed emblema degli anni 80, Stand by Me, pellicola tratta anch’essa da uno scritto dello stesso King.
Il pilot prende il via nel rigido inverno del 1991, anno in cui la cittadina di Castle Rock viene sconvolta dalla misteriosa scomparsa di un ragazzino, Henry Deaver. Il poliziotto Alan Pangborn (Scott Glenn) è sulle tracce del bambino, quando, fermatosi per riposare sulle rive di un lago, vede comparire il piccolo al centro della lastra di ghiaccio.
La narrazione si sposta poi ai nostri giorni.
Poco dopo il brutale suicidio di Dale Lacy (Terry O’ Quinn), direttore del turpe penitenziario di Shawshank e della nomina di una nuova figura alla sua conduzione, in un’ala abbandonata del carcere viene ritrovato un ragazzo (Bill Skarsgård) chiuso in una gabbia. Senza nome né passato, il giovane diviene immediatamente un enigma affascinante quanto irrisolvibile per la polizia locale, dal momento che rifiuta ogni tipo di collaborazione. Pronuncia un solo nome, quello di Henry Deaver con il quale sembra disposto a parlare.
Trasferitosi in Texas e divenuto ormai avvocato, l’adulto Henry (André Holland) fatica a raggiungere soddisfazioni e successo a livello lavorativo, fino a quando non gli arriva una misteriosa e anonima telefonata che gli chiede di tornare a Castle Rock. Dopo la condanna a morte della sua ultima cliente e nessun tipo di prospettiva di realizzazione futura, Henry fa ritorno a casa, un luogo che non è più sinonimo di protezione o rifugio sicuro, ma è piuttosto un rievocatore di un oscuro e misterioso passato che il giovane sta cercando di dimenticare.
Ambientazioni rurali, vaste lande desolate, luoghi angusti, sporchi e claustrofobici, strade deserte che si snodano tra le vie di una tranquilla cittadina ignara del Male che vive acquattato e indisturbato ad un soffio delle loro grigie vite, ci immergono fin dal primo frame nei mondi di pura matrice kingniana.
L’accumulo di interrogativi, di domande avvolte in un cupo involucro di mistero che rimangono sospese nell’aria in attesa di risposta, detta un ritmo incalzante alle monotone vicende dei personaggi, di cui la stessa cittadina è la protagonista principale.
Nessun cliffhanger o colpo di scena improvviso sconvolgono il ritmo andante dell’episodio, ma il telespettatore è condotto per mano verso la fine, prima di essere abbandonato nell’oscurità con la curiosità viscerale di saperne di più e la voglia spasmodica di averne ancora.
Castle Rock è un grigio e monotono microcosmo sociale che nasconde però, sotto una patina di sfiducia e apparente tranquillità, un’oscurità che è palpabile fin da subito, innescata da un evento traumatico in grado di rivelarne la vera essenza. Ivi compresa quella dei suoi stessi abitanti.
Il sapore di contaminazione con l’universo di Twin Peaks è tangibile per chiunque sia appassionato del genere, ma le somiglianze con l’indiscusso capolavoro artistico di David Lynch terminano qui.
Se con Twin Peaks si rimaneva affascinati e imbriglianti all’interno di quella bolla onirica in cui i confini tra realtà e finzione si dissolvevano continuamente fino a far dubitare allo stesso spettatore del proprio raziocinio, con Castle Rock ci troviamo a vivere in prima persona le stesse inquietudini che tormentano i personaggi, regalandoci quell’insicurezza e quell’inquietudine che strisciano fuori dallo schermo e si insinuano tra le pieghe dei nostri afosi pomeriggi estivi.
A popolare le vie delle nefanda cittadina, troviamo un connubio di attori in grado di presentare Castle Rock, sin dal pilot, come il nuovo fiore all’occhiello della piattaforma Hulu, assieme all’acclamata The Handmaid’s Tale.
Nel cast artistico troviamo un lodevole André Holland, già molto apprezzato dal pubblico in The Kinck e nel film premio Oscar Moonlight, Terry O’ Quinn, il John Locke di LOST, che non perde mai il vizio delle botole e dei luoghi angusti, Melanie Jayne Lynskey, l’iconica Sissy Spacek di Carrie – Lo sguardo di Satana, ma anche Allison Tolman di Fargo, Noel Fisher di Shameless e Jane Levy di Suburgatory.
Severance si dimostra subito un ottimo pilot, seminando briciole di mistero in attesa di condurre alla casa dell’orco quanti più ignari avventori possibili, in un probabile se non certo climax in crescendo di misteri, cadaveri, efferati omicidi e rivelazioni di grande effetto prima che tutti i nodi vengano al pettine.
Dopo il successo di The Handmaid’s Tale, Hulu si conferma ancora una volta una piattaforma in grado di selezionare con raffinatezza e gran gusto dei prodotti in grado di soddisfare i palati più raffinati ed esigenti di un pubblico che è alla costante ricerca di un intrattenimento consapevole e maturo.